Marco D’Agostin sarà in residenza a Villa Nappi dal 9 al 21 dicembre con il progetto Best Regards.

“Dear N,
You were too much.
Too funny. Not just plain funny but, you know: silly funny, witty funny,
biting funny, cutting funny, ferocious funny, despondent funny, frightening funny.
And physical too.
Yes too physical by half.
Too body, body.
Too bodily body to be theatre
and too entertaining to be serious.”

(W. Houstoun, lettera a N. Charnock ) 

Con queste parole Wendy Houstoun salutava l’amico e collega Nigel Charnock, a pochi giorni dalla sua morte, nell’agosto del 2012.

Nigel era stato uno dei fondatori dei DV8 – Physical Theatre negli anni ’80; aveva poi proseguito in solitaria come performer e coreografo, dando vita a una formidabile serie di assoli. Per chi lo ha conosciuto egli era, esattamente come nelle parole di Wendy, “too much”. Con i suoi spettacoli, esplosioni ipercinetiche in cui il canto, la danza, il grido, la messinscena, la finzione e la realtà palpabile della performance venivano cucite attorno ad un vuoto abissale, ha allargato le maglie del genere “danza contemporanea” ed è sembrato incarnare alla perfezione quella possibilità dell’arte che David Foster Wallace ha provato a definire “intrattenimento fallito” (“failed entertainement”). In lui tutto era energia, desiderio, volontà. Eppure, come disperatamente ripete nel suo solo One Dixon Road, “there’s nothing else, it’s nothing, nothing”*: non c’è niente, niente, niente ha senso.

Ho conosciuto e lavorato con Nigel Charnock nel 2010. Questo incontro ha segnato una linea netta nel mio modo di pensare la performance. Dopo di lui, la possibilità di una danza è per me la possibilità che tutto in scena accada, simultaneamente.

BEST REGARDS non è un tributo, ma di sicuro un saluto. È un modo per dire: “Dear N, I wanted to be too much too” (“Caro N, anch’io volevo essere troppo”). È un assolo vorace, una lettera scritta a qualcuno che non risponderà mai. Un lavoro sulla rabbia, soprattutto sulla rabbia del primo amore: quello che c’era prima che la danza diventasse un mestiere. Prima della scrittura, della progettazione, della restituzione di un senso e di un’unità. L’amore che era solo stare sul palco, di fronte agli altri, sudato e livido, a cantare-e-danzare. Un atto di disperata nostalgia non per il mondo com’era, ma per il mondo come mi appariva.

*”rubbish, shit, there is no now… all there is is this, there’s nothing else, it’s nothing, and what does this mean, nothing….It’s absolutely, totally, beautifully, divinely, amazingly meaningless, right, I’m glad we got that sorted now”