Il Misantropo [Vocitinte / Antonio Mingarelli]

Il misantropo affronta impietosamente i temi essenziali del vivere: il rapporto con gli altri, con la società, con il mondo, con la donna amata.  L’esigenza di assoluto di Alceste, il giovane protagonista ritratto da Molière nemico dei compromessi e dei capricci dell’alta società, si scontra non soltanto con le ipocrisie e i vizi, ma anche con le debolezze innocenti, con i necessari galatei del convivere. È questo, soprattutto, a dare al personaggio quella complessa e indefinibile ambiguità che si realizza sulla scena in una varietà interpretativa con pochi riscontri nel teatro di tutti i tempi.

Il misantropo
di Molière
regia di Antonio Mingarelli
con Lino Musella, Federica Sandrini, Walter Cerrotta, Stella Piccioni, Alice Torriani, Alex Cendron, Graziano Sirressi, Pasquale De Filippo
scene Elisabetta Salvatori
light designer Luigi Biondi
produzione Vocitinte e Inteatro

Note di regia – di Antonio Mingarelli
Il misantropo è forse la commedia più nera di Molière. Se in altri suoi capolavori l’oggetto della chirurgica osservazione del grande drammaturgo francese era la malattia umana nella sua forme più esteriori (l’ipocondria di Argante, l’avarizia di Arpagone, la vanità vischiosa di Tartufo), con Alceste ci troviamo di fronte a una patologia più misteriosa, sfuggente. Ancora più che nei casi già citati, è l’anima del’uomo a soffrire, la sua incapacità -soprattutto- di capire e di parlare al cuore dei propri simili. E’ la mancanza d’amore o meglio la sua impossibilità, la sua struggente inefficacia in una società anastetizzata e insensibile ai suoi richiami, ai suoi palpiti, il tema al centro di questo capolavoro.
E’ nera l’anima di Alceste, nera la comunità umana che lo circonda e lo spinge all’esilio (una liberazione? una resa?), neri i rituali farseschi che il potere e i suoi seguaci sono tenuti a perpetuare nei secoli dei secoli per mantere l’ordine sociale, nera la solitudine di Celimene, cuore nevralgico del balletto macabro della Corte.

Abbiamo immaginato questo Misantropo collocato in uno spazio di autorappresentazione continua, di perenne movimento, svago, vizio, una sala da ballo dal vago sapore anni ’30. Un luogo non specificato, che riassume in sé tutte le deformazioni e le storture del secolo appena trascorso, il Novecento. Abbiamo immaginato questo locale del divertimento e della perdizione come il locale di Celimene, la sua casa, il suo rifugio, il suo palcoscenico, il suo bordello.
Abbiamo pensato a un modo di rappresentare l’umanità che gira attorno a questa donna e a un espediente scenografico che permettesse ai personaggi, a tutti i personaggi, di essere in perenne rapporto col proprio doppio, con la propria rappresentazione.
In questa atmosfera e in questa macchina scenica abbiamo inserito l’individuo Alceste, punto di congiunzione e di rottura di tutti gli spettatori, che con Lui s’identificano e da Lui si distanziano, sublime riassunto di tutte le debolezze e le grandezze dell’essere umano, comico perchè patetico ma anche eroico e tragico perchè patetico. Alceste al pari di
Amleto, Don Chisciotte e pochi altri archetipi letterari, continua a distanza di secoli, a parlare di Noi, del fuoco divorante che ci attanaglia quando con un solo gesto vogliamo abbracciare la parte inaccettabile, oscura che ci abita con quella pura, sincera, innocente.

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The Misanthrope by Molière cruelly tackles the key issues of life: relationships with others, with society, with the world, with the beloved woman. Alceste, the young protagonist created by Molière, is enemy of compromise and of the whims of high society. His need for absolute clashes not only with hypocrisies and vices, but also with innocent weaknesses, with the necessary etiquette living together.

The Misanthrope
by Molière
direction Antonio Mingarelli
with Lino Musella, Federica Sandrini, Walter Cerrotta, Stella Piccioni, Alice Torriani, Alex Cendron, Graziano Sirressi, Pasquale De Filippo
scene Elisabetta Salvatori
light designer Luigi Biondi
production Vocitinte and Inteatro

Direction notes – by Antonio Mingarelli
The Misantrophe is maybe the darkest Molière’s play. In his other masterpieces the object of the surgical observation of the great French playwright was the human sickness in its most external forms (Argante’s hypochondria, Arpagone’s greed, Tartufo’s viscous vanity); with Alceste we are in front of a more mysterious and slippery pathology. Even more than in the mentioned examples, it is the human soul to suffer, his ineptitude – most of all – to understand and to talk to the heart of his similars. The topic of this masterpiece is the lack of love or maybe its impossibility, its agonizing inefficacy in a society that is anesthetized and insensitive to its cries and to its pulsations.

Dark is Alceste’s soul, dark is the human community that surrounds and pushes him to exile (a relief? a surrender?), dark are the farcical rituals that the power and its followers are forced to perpetuate forever and ever to maintain the social order, dark is Celimene’s loneliness, neuralgic centre of the Court’s macabre dance.
We have imagined this Misantrophe situated in a space of continuous self-representation, of never ending movement, amusement, vice, a ballroom that recalls vaguely the 1930s. A not specified place, that resumes in itself all the deformities and all the distortions of the Twentieth century. We have imagined this place of entertainment and of perdition as Celimene’s place, her home, her shelter, her stage, her brothel.
We have thought about a way to represent the humankind that turns around this woman and about a stage expedient to allow the characters, all the characters, of being in an eternal match with their alter ego, with their representation.
In this atmosphere and in this scenic machine we have inserted the individual Alcest, connection and break point with all the spectators, who identify themselves with Him and distance themselves from Him. Sublime resume of all human weaknesses and greatnesses, comical because pathetic but also heroic and tragic because pathetic, Alceste as Hamlet, Don Chisciotte and a few other literary archetypes, keeps on telling of Us, of the destroying fire that grips us when with only one action we want to hug the unacceptable, dark side that lives in us with the pure, sincere, innocent side

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